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nedelja, 16. januar 2005

o3 MICHEL (Claudio Lolli)


Ti ricordi, Michel dei nostri pantaloni corti, delle tue gambe lunghe magre e forti e della rabbia che mi davano correndo tutti i giorni un po' più svelte delle mie.
Ti ricordi, Michel dei nostri soldatini morti, nella difesa eroica dei bastioni e seppelliti in una siepe con onori militari inventati lì per lì.
Ti ricordi, Michel del banco nero in terza fila, che ascoltò tutte le risate, di due bambini che vivevano in un sogno che non si ripeterà.
Ti ricordi, Michel. 
Ti ricordi, Michel che a me piaceva Garibaldi, ma tu dicevi che era un buffone e che senz'altro non poteva sostenere il confronto con il tuo Napoleone.
Ti ricordi, Michel di come ti prendevo in giro, per l'erre moscia che ti era rimasta, solo ricordo della Francia e della tua prima casa, dei tuoi amici di lassù.
Ti ricordi, Michel di come era esclusiva la tenerezza che ci univa, e accompagnò la nostra infanzia fino ai giorni della nuova realtà.
Ti ricordi, Michel. 
Ti ricordi, Michel di come a me dispiaceva, quando parlavi sempre di ragazze e delle voglie che avevi con due occhi un po' sottili che non conoscevo più.
Ti ricordi, Michel di quando i mei capelli corti, ti davano fastidio e dicevi, che se non la piantavo di fare il bambino tu con me non ci saresti uscito più.
Ti ricordi, Michel quel giorno che facemmo a pugni tornando a casa dalla scuola, con la cartella appogiata a una colonna a due passi dal palto.
Ti ricordi, Michel. 
Ti ricordi, Michel il giorno che morì tua madre, che tu piangevi tanto che anche il cane che ti voleva così bene non aveva il coraggio di avvicinarsi un po'.
Ti ricordi, Michel che tristi erano quei giorni, io non sapevo proprio cosa dirti e che confusione avevo in testa e che stupore sul tuo viso e che voglia di partir.
Ti ricordi, Michel quei due saluti alla stazione e i lacrimoni venir giù, quando la macchina comincia a far pressione tu dovesti salir su.
Ti ricordi, Michel che fretta che avevano tutti, far partire la vettura, mentre lento il tuo vagone se ne andava ritornava la paura.
Ti ricordi, Michel. 


sreda, 27. marec 2002

o2 BORGHESIA (Claudio Lolli)


Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.
Sei contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana
se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana.
Sei soddisfatta dei danni altrui ti tieni stretta i denari tuoi
assillata dal gran tormento che un giorno se li riprenda il vento.
E la domenica vestita a festa con i capi famiglia in testa
ti raduni nelle tue Chiese in ogni città, in ogni paese.
Presti ascolto all'omelia rinunciando all'osteria
così grigia così per bene, ti porti a spasso le tue catene.
Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
io non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.
Godi quando gli anormali son trattati da criminali
chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali.
Ami ordine e disciplina, adori la tua Polizia
tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare.
Sai rubare con discrezione meschinità e moderazione
alterando bilanci e conti fatture e bolle di commissione.
Sai mentire con cortesia con cinismo e vigliaccheria
hai fatto dell'ipocrisia la tua formula di poesia.
Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
io non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.
Non sopporti chi fa l'amore più di una volta alla settimana
chi lo fa per più di due ore o chi lo fa in maniera strana.
Di disgrazie puoi averne tante, per esempio una figlia artista
oppure un figlio non commerciante, o peggio ancora uno comunista ... ex
Sempre pronta a spettegolare in nome del civile rispetto
sempre fissa lì a scrutare un orizzonte che si ferma al tetto.
Sempre pronta a pestar le mani a chi arranca dentro a una fossa
e sempre pronta a leccar le ossa al più ricco ed ai suoi cani.
Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia
per piccina che tu sia il vento un giorno, forse, ti spazzerà via.

nedelja, 23. december 2001

o1 ANGOSCIA METROPOLITANA (Claudio Lolli)


Dentro a un cielo nato grigio, si infilzano le gru
ricoperte dalle case, le colline non si vedon più.
Sulle antenne conficcate nella crosta della terra
corron nuvole frustate, come va un esercito alla guerra.
E la voce che mi esce, si disperde tra le case,
sempre più lontana, se non la conosci, è l'angoscia metropolitana.
Le baracche hanno lanciato, il loro urlo di dolore,
circondando la città, con grosse tenaglie di vergogna.
Ma il rumore delle auto, ha già asfissiato ogni rimorso,
giace morto sul selciato, un bimbo che faceva il muratore.
E la voce che mi esce, si disperde tra le case,
sempre più lontana, se non la conosci, è l'angoscia metropolitana.
Nelle case dei signori, la tristezza ha messo piede,
dietro gli squallidi amori, l'usura delle corde ormai si vede.
Come pere ormai marcite, dal sedere troppo tondo,
le fortune ricucite, mostrano i loro vermi al mondo.
E la voce che mi esce, si disperde tra le case,
sempre più lontana, se non la conosci, è l'angoscia metropolitana.
Fai un salto alla stazione, per cercare il tuo treno,
troverai disperazione, che per venire qui lascia il sereno.
Fai un salto alla partita, troverai mille persone,
che si calciano la vita, fissi dietro un unico pallone.
E la voce che mi esce, si disperde tra le case,
sempre più lontana, se non la conosci, è l'angoscia metropolitana.
La campagna circostante, triste aspetta di morire,
per le strade quanta gente, è in fila per entrare o per uscire.
Chiude l'ultima serranda, poi la luce dice addio,
la città si raccomanda, la sua sporca anima a dio.
E la voce che mi esce, si disperde tra le case,
sempre più lontana, se non la conosci, è l'angoscia metropolitana.