nedelja, 15. julij 2012

CONVERSAZIONI CON I FOCOLARINI: PASQUALE FORESI - GESÚ ABBANDONATO (FORESI 1969, 78-91)



















































































CONVEFKSAZIONI
ccn i FOCOLARINI
pasquale fcresi
citta nucva editrice
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Gesù abbandonato
La quarta parola che Gesù pronunziò a gran
voce sulla croce fu: "Dio mio, Dio mio, perché
mi hai abbandonato?" '.
Già allora quelli che sta-
vano attorno non capìrono che cosa egli stesse
dicendo.

Questa frase È riportata da due evangelisti,
da Matteo e cla Marco; ed è riportata rispettiva-
mente ìn ebraico e in aramaico.
Matteo scrive:
« Heli Heii, lama sabacthani? », e Marco: « He-
loi Heloi, lama sabacthani? ».

Si è discusso fra   studiosi per stabilite in
quale lingua Gesů avrà pronunciato quelle parole,

Adesso si è concordi ne]l’aHerma.re che le ha pro-
nunciate in lingua aramaica, cioè nella lingua dia-
lettale parlata al tempo dì Gesù.

Tali parole sono anche le parole dell’inizio del
salmo 21, che È un salmo messìanioo: vi side-
scrivono infatti i parimenti e gli stati d’a.nimo

‘ Mt. 27, 46 e Mc. 15, 34.
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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
che il Messia avrebbe poi soiierto nella crocìůs-
sione.
Non è che Gesů sulla croce abbia voluto re-
citare questo salmo, per fat vedere che proprio
era il Messia: no, egli ——·· durante la ctociñssione
— ha sentito   stessi dolori che erano stati
già per profezia espressi nel salmo 21.
In esso si parla di un giusto circondato da
potenti nemici, e cbe si sente abbandonato da
Dio.
Il suo grido di abbandono non è però un
grido di disperazione nei riguardi di Dio, ma è
un grido di invocazione.
Infatti il salmo termina
con un inno di fiducia in Dio, il quale avrebbe
certamente liberato il giusto dei nemici e 
avrebbe dato la vittoria.
Da questa semplice analisi, vediamo già come
il grido di Gesù sulla croce: « Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato? » - che esprime gli
stessi sentimenti del salmo — era una oosratazione
clolorosissima, ma anche piena di fiducia per ciò
che Dio avrebbe fatto.

Ed è bello vedere che Gesù ha voluto ripe-
tere quelle parole del salmo, non in lingua ebraica
— usata per scrivere la maggior parte della Bib-
bia —— ma in lingua aramaica, che era la lingua
parlata; cioè, egli ha rivissut.0 in sé quegli stati
d’animo e li ha tidetti con le parole di tutti ì
giomi.

Abbiamo voluto analizzare il significato di79
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
« abbandonato » in ebraico — perché bisogna ap-
punto rifarsi al salmo 21 — e abbiamo visto che
il significato di questa parola non ci dice affatto
una volontà cla parte di Dio di abbandonare Gesù,
ma indica invece il «lasciar stare una persona,
senza intervenire, in una situazione dolorosa ».

Nel salmo è descritta una persona che è circon-
data dai leoni, che è circondata dalle bestie feroci,
e che nessuno interviene a liberare.
Questo è il significato della parola usata; in
italiano quindi meglio sarebbe tradurre: « perché
mi lasci cosi? s, e non; aperché mi hai abban-
donato? ».

Matteo e Marco hanno espresso ciò nella tra-
duzione ispirata che loro stessi hanno dato.
Infatti
ambedue, dopo la citazione ebraica e aramaica,
traducono il verbo col greco « erskaralèŕpo » (lèi-
po vuol dire refárxqzto, cioè << lascio »; er: signiñca
uno stato; kata signiñca spesso una cosa negativa,
—- basti pensare alle parole italiane che comin-
ciano con cara, come catastrofe ecc.].
Il verbo
greco enkatalèŕpo vuol clire: « perché mi lasci in
questa situazione dolorosa? ».
Se si guarda perciò
cla un punto di vista filologico, si comprende che
Gesù in quel momento ha sentito l’ab].iandono del
Padre, nel senso che il Padre non È intervenuto
in suo favore, lasciandolo in una situazione ter-
ribile e dolorosa}
Ci dice inoltre che questo dolore
indicava anche il rapporto personale di Gesù con
il Padre.

8o
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Ma come Gesů può aver sofferto una certa
separazione, un certo abbandono da parte del Pa-
dre, se Gesù era uomo e Dio?
Si è di fronte al
mistero piů grande della nostra religione: ]’incar—
nazione.

In genere non abbiamo sufůcientemente pre-
sente nell’anima chi sia veramente Gesů,
Si sa-
che Gesù è Dio e che Gesù è uomo, un uomo
come noi, — però bisogna tener presente che è
un uomo unito sostanzialmente, ipostaticamente
alla divinità e quindi ha dei doni, delle grazie,
come uomo, che noi non avremo mai.
Questo è un mistero cosi grande che mai po-
tremo comprenderlo appieno, perché e il mistero
stesso di Dio, di come Dio si possa incarnare e
assumere la natura umana.
Consideriamo a questo punto i vari tipi di
conoscenza che sono propri di Gesu,
Noi nasciarno come mbufae rame, secondo una
espressione cara a tanti filosofi antichi, e solo la
conoscenza attraverso i sensi ci porterà poi a
formulare dei concetti.
Ma Gesů, secondo i teo- .·
logì, aveva già sulla terra la visione beatiiica.
Le
anime nostre in paradiso vedranno Dio faccia a
faccia: questa visione che noi avremo nella vita
futura, Gesu la possedeva già sulla terra.
Come sapete, questa è una conoscenza del tut-
to spirituale, che non deriva dalresperienza: dal-
Fesperienza sensibile, infatti, non possiamo arri-
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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
vare a vedere Dio. Questo tipo di oonosoenza
dunque non dipende dai sensi, né dallo sviluppo
dei nostro corpo.
Gesù Paveva fin dal primo istan-
te del suo concepimento: quando era ancora nel
seno di Maria Santissima, la sua anima vedeva
Dio, vedeva la ss. Trinità, perché Ia sua anima,
essendo spiritualmente già completa fin da quel-
l’istante, poteva pienamente possedere e piena-
mente godere della visione beatiñca.
Inoltre, secondo la teologia, Gesù aveva un
altro tipo di conoscenza che soltanto alcuni santi,
e in parte, hanno avuto, cioè la scienza infusa.
Oltre la visione beatifica, Gesù come uomo cono-
sceva anche le cose in sé, e le conosceva fin da
quando era bambino, appunto per la scienza in-
fusa direttamente.
Conosceva ie oose più sante,
conosceva anche le cose dì questo mondo, per
Pinfusione delle idee che veniva operata nella sua
anima da Dio.
La divinità si effondeva — come è oompren-
sibile —- completamente nella sua umanità, per
cui, come uomo, aveva tutte le petfezioni possi-
bili a concepìrsi,

Oltre a questo, in Gesu c’era un altro tipo
di oonoscenza: ia conoscenza tipicamente nostra,
la conoscenza sperimentale.

La conoscenza umana comune, in Gesù non
era perfetta En da.Il’inizio, — mentre la visione
beatifica e la scienza infusa sf, — perché essendo
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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
legata al corpo, si sviluppava con la crescita di
Gesù in età.
` Queste tre maniere di conoscere (visione bea-
tiŕica, scienza infusa, conoscenza sperimentale] in
Gesù non si urtavano l’una con l’altra; erano
ciascuna realtà piene.
Gesù sapeva ad esempio che sarebbe morto;
Gesù sapeva che avrebbe sofferto anche l’abban—
dono da parte del Padre; ma quando l’ha provato,
ne ha avuto una conoscenza nuova: da un punto
di vista sperimentale, umano, è stato qualche cosa
di assolutamente nuovo e doloroso.
Ora applichiamo appunto questa dottrina ri-
guardante i vari tipi di conoscenza di Gesù, al
momento della passione, quando egli soffre l’ab-
bandono da parte del Padre.
Alcuni antichi scrittori ecclesiastici, e sembra
perfino Sá1‘1I}AHll')I0g`i0 ', hanno interpretato il gri-
do di abbandono di Gesù come espressione della ·
separazione dalla divinità: ipotesi che è stata su-
bito rigettata da tutti i teologi, perché se nel mo-
mentù della passione, della redenzione, Pumanìtà
di Gesù si fosse separata dalla divinità, la reden-
zione non sarebbe avvenuta ad opera de.ll’u0tno-
Dio, e quindi non avrebbe avuto valore ìnñnito.

Non solo la divinità di Gesù era unita alla sua
umanità in quei momento, ma anche tutte le
2 PL 15, 1929 e In Psalmos, XÈLIII, 31, 1158.
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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
conseguenze di quella unione Huìvano nella sua
umanità, quindi anche la visione beatifica e la
scienza ìnfusa.
Che cosa c’è stato di nuovo in quel momento?La scienza acquisita; Gesu ha sperimentato in sé
come uomo la separazione, il non intervento di
Dio.
In quel momento, egli si senti ricoperto dei
nostri peccati (infatti anche questo si ricava da
un’antica traduzione del salmo 21).
Ma come è possibile che Gesù si sia sentito
ricoperto di peccati, lui immacolato, lui che -—
come uomo — non solo non aveva mai peccato,
ma non poteva neanche peccare, perché la sua
umanità era unita ipostaticamente alla divinità?
Per il fatto che Gesù era unito a tutta l’u1:na—
nità.
Cioè, se Gesù come natura individua era
unito alla divinità, era unito anche a tutta l’u1·na·
nìtà a motivo del suo corpo; per il suo corpo
egli discendeva da Adamo ed Eva, dai patriarcl·1i,
da Abramo.
Gesù non ha contratto il peccato originale,
perché è nato dal seno purissìmo di Maria San-
tissima; però nella sua natura umana ha voluto
provare le conseguenze del peccato che è negli
uomini, lia voluto provate il dolore della sepa-
razione a causa del peccato, ripeto, non perché
lui avesse minimamente peccato o perché in lui
ci fosse il peccato originale, ma perché ha voluto

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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
assumere quella stessa carne che nell’umanità era
ancora sotto le conseguenze del peccato originale.
Come umanità in quel momento ha sentito, ha
provato questa separazione da parte del Padre.

Facciamo un esempio: ammettiamo che in una
famiglia qualcuno commette un delitto, uccida una
persona.
I suoi fratelli sono innocenti; e però
certamente, quando essi incontrano qualcuno, sen-
tono su di sé il peso del delitto, appunto per la
oonsanguineìtà.

In Gesů c’era questo legame, e molto di piů,
perché egli aveva misticamente unito a sé tutta
Pumanità.
Appunto perché prese la nostra stessa carne,
e perché in quella carne era riassunto il genere
umano, provò il dolore dell’abbandono e operò
cosi la redenzione.
Infatti, riabbanclonanclosì al
Padre, oůrendo il suo dolore al Padre, ha operato
non soltanto la sua g]ori1':icazione corporale, ma
anche la redenzione di tutto il genere umano, la
redenzione cli noi tutti.
Il mistero di Gesů abbandonato è legato a
molti misteri.
Per esempio al mistero di Gesù
individuo unito al genere umano: egli è cosi uni-
to &l.l’111I12.l'1iICà che prende sopra dì sé le conse-
guenze del peocato, porta il dolore di queste con-
seguenze e con un atto d’amore riunisce tutti noi,
tutta Pumanità a Dio.

Ancora un altro mistero. Sappiamo che Gesù
sulla terra aveva la visione beatiiica, ma il suo

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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
corpo non era glorificato prima della risurrezione;
il suo corpo è glorificato dopo la risurrezione;
cioè, soltanto dopo la redenzione ha quella impas-
sibilità, quella gloria, quella luminosità che avran-
no i nostri corpi beati: e ciò ci fa vedere anco-
ra una volta come siamo legati a Gesů, quanto
Gesù è legato a noi.
Sappiamo da san Paolo che
sulla croce Gesů si è meritata la glorìůcazione
del corpo, cioè ha acquistato per sé il diritto alla
giorificazione oorporale e ìl diritto alla gloria del
suo nome: « Si abbasso facendosi ubbidiente Eno
alla morte, e alla morte di croce.
E perciò Dio
10 ha esaltato e gli ha largito un nome, che sta
sopra a Ogni nome, affinché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pìeghi in cielo e in terra e sot-
terra » 3.
San Tommaso si pone una questione ‘: la re-
denzione è meritoria con la morte <<in facto»
0 « in fieri »? cioè la redenzione si è oompiuta
mentre avveniva la passione fino alla morte, 0 a
morte compiuta?

San Tommaso risponde che la redenzione è
avvenuta in tutto quello stato doloroso che va
da]l’agonia Eno alla morte; con la morte e la risur-
rezione termina la redenzione.
Ebbene, Gesů abbandonato è il simbolo, è
il segno, è I’inclicazione precisa di questa reden-
3 Fil. 2, 8-11.
" Cf, Smmua Theo}., III, q. 50, a. 6 in c.
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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
zione. Anche se la redenzione è avvenuta in tutti
i dolori spirituali e ůsici di Gesu, tuttavia il do-
lore piů grande quello che simboleggia tutta la
redenzione è nel momento in cui egli sente la
separazione dal Padre; ed è Ii che opera il ricon-
giungimento dell’umanità col Padre.
Quindi si
può veramente vedere in Gesù abbandonato il
dolore tipico col quale s’è consumata la reden«
zione del genere umano [anche se la redenzione
è avvenuta con il dolore dell’abbandono che pe-
netra in tutti   altri dolori e dà ad essi signifi-
cato).
Anche i tormenti, infatti, erano aocresciuti
dal dolore della separazione con il Padre, della
separazione espressa in quel grido: «Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato? ».
Alcuni si domandano: qual è il piů grande
momento di dolore della passione di Gesu?
E
affermano: quando ha gridato: «Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato? ».
Perché i dolori spirituali — spiegano — so-
no molto più grandi di quelli Hsici, e il dolore
spirituale piů grande e provare il dolore della
separazione da Dio causata dal peccato.
Il peocabo
è ciò che di piů grave c’è al mondo, è Pofiesa
a Dio.
L’anima di Gesu, quando ha provato nel-
Yabbandono il dolore dell`umanità che aveva pec-
cato contro Dio e si era separata da Dio, ha sen-
tito dunque il piů gran dolore che avrebbe mai
potuto provare.
Ha provato in quel momento
il dolore piů grande, che nessun altro uomo potrà

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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
mai provare, perché chi provava quel dolore era
un uomo che era unito personalmente alla divi-
nità, l’u0mo-Dio.
Ciò ha per noi un valore infinito, appunto
perché chi sente tuttů questo è Dio: Dio, che
attraverso la sua natura umana prova il dolore
della separazione causata dal peocato, e la prova
non come qualcosa di estrinseco, ma oome qual-
cosa di proprio, avendo voluto prendere la natura
umana e prendere la carne di quello stesso genere
umano che aveva peccato contro Dio.

Noi tutti eravamo presenti in lui, eravamo
solidali con la sua umanità, eravamo presenti spi-
ritualmente per un disegno di Dio che voleva che
Gesu fosse il ricapitolatore di tutta ]’u.manità;
eravamo presenti anche uno ad uno nella sua ani-
ma (questo è un altro punto meraviglioso della
dottrina della passione), perché Gesù con la vi-
sione beatìfica e con la scienza infusa conosceva
rutti quelli che sarebbero venuti, che c’erano stati
e che c’erano in quel momento.
Erano presenti,
come potevano essere presenti alla sua anima ìn—
telligentissima, tutte le persone che ci sarebbero
state, tutti i Movimenti che sarebbero sorti nella
Chiesa, e oertamente era presente anche in lui
quel Movimento che avrebbe fatto di questo gri-
do: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abban-
donato? » il cardine della sua spirirua]ità,
Nel momento in cui ha accettato tutti i cio-
lori, ha preso su dì sé anche tutte le nostre colpe

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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
espgndole in sé e dicendo: « Padre, nelle tue ma-
ni rimetto il rnìo spirito » 5.

Ma la sua anima non ha mai avuto dei pas-
saggi, cioè non è avvenuto che prima non avesse
accettato il dolore e l’avesse accettato dopo; no:
poiché, quando ha gridato: « Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato? », quel grido era già
uxfaccettazione dolorosa.
Quando ha detto: ·x Padre, nelle tue mani ri-
metto il mio spirito >>, ci ha voluto mostrare che
tutto s’era compiuto.
Le nostre colpe in quel mo-
mento erano pagate.

Ebbene, a noi, che eravamo solidali con lui,
ha ottenuto di cliventare lui; non ci ha ottenuto
solo che le nostre colpe fossero rimesse, cosi da
salvarci soltanto, ma ci ha fatto divenire membra
del suo corpo.
Questi concetti sono per noi misteriosi perché
siamo abituati a vederci frazionati, a vederci con
gli occhi della carne; ma la realtà è che siamo
cellule del corpo di Cristo,
E il corpo mistico di
Cristo non lo si deve intendere come qualche co-
sa di generico, di vago, 0 come una associazione
o società morale: noi siamo stati veramente, an-
che se misteriosamente, assunti a sue membra, e
lo Spirito Santo è l’anirna nostra, l’anìma del cor-
po mistico.
Con questa caratteristica, che lo Spi-5 Lc. 23, 46.
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˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
rito Santo ci unisoe più completamente di quanto
siano unite le cellule del nostro corpo, perché
esse sono unite da un’anima creata, mentre noi
siamo uniti da Dio, e quindi molto più perfetta-
mente, pur rimanendo ciasctmo distinto e re-
sponsabile.
Si dice spesso che ì santi e gli ordini religiosi
da loro fondati, sono come un momento della
vita di Gesù che si continua nella Chiesa.
Tutto
ciò è vero, perché la vita dei cristiani, essendo
essi il corpo di Cristo, non è altro che la stessa
vita di Gesù, e non solo per un esemplarìsmo,
per l’esempio che Gesù ci ha dato, ma perché
intrinsecamente è la stessa vita di Gesù che ri-
fluisce in noi, che vive in noi,
La nostra pazienza non è una pazienza pagana,
che si chiama cristiana solo per il battesimo; è
la pazienza stessa di Gesù che viene in noi.
Cosi
la carità, non è un sentimento di benevolenza
rivolto a Cristo; è la carità stessa di Cristo che
penetra in noi e ci fa amare gli altri col suo
stesso amore, perché, anche se per partecipazione,
il nostro amore è stato dìvinizzato.
In paradiso vedremo Dio faccia a faccia, e la
vita nostra cosi come essa È veramente.
e Ades-
so noi vediamo come in uno specchio, in confu-
so; allora vedremo a faccia a faccia,
Adesso io
conosco in modo imperfetto, allora conoscerò
per bene, come sono conosciuto »°.

6 1 Cor. 13, 12.
90
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Se dobbiamo vivere Cristo, dobbiamo vivere
quello che ha vissuto Cristo.
E Cristo ha vissuto
in modo del tuttù particolare la redenzione del
genere umano.
La redenzione fu l’att0 piů importante della
vita di Gesù.
Tutte le azioni erano di valore in-
finito nella sua vita umana, però tutte erano una
preparazione al momento nel quale egli avrebbe
operato la redenzione del genere umano,
L’autore della lettera   Ebrei afferma, met-
tendo queste parole sulle labbra di Gesù: ·2< per-
ciò entrando nel mond0... dissi: Eccomi qui... a
fare 0 Dio il tuo volere » '.
Gesu, cioe, fin dal
primo istante della sua venuta al mondo, disse
il suo « si » al dolore della crocifissione, e tutta
la sua vita non fu che una preparazione al Cal-
vario.
Esso rimase il faro orientatore d’ogni sua
azione, d’ogni sua parola, cl’ogni sua preghiera.
Rivivere in noi perciò Gesù crociñsso e ab
bandonato sarà un uniformarsi ai sentimenti inte-
riori di Gesù; anzi sarà molto di piů, sarà un
lasciar rivivere in noi per la grazia quegli atti dì
amore e di dolore che il Signore provò sulla
croce, partecipando anche noi cosi al oompimento
della sua passione con la nostra amorosa soñe-
renza.
7 Ebr. 10, 5.7.
91
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Pasquale Foresi è nato a Livorno
nel 1929. Si è laureato in teolo-
gia, con la tesi « L'agape in San
Paolo e la carità in San Tomma-
so =·, edita da Città Nuova ed. e
che è stata molto apprezzata co-
me confronto tra la teologia bi-
blica e la teologia speculativa.
E' autore di varie pubblicazioni
di carattere teologico-spirituale
e di numerosi saggi e articoli
tradotti anche in altre lingue.
Tra questi:
Teologia della socialità; I l tetta-
znento di Gesá; Fede, speranza
e carità nel Nuovo Testamento;
Parole di vita; Celiéato tacer-
dotale alla luce dei vangeli; I
laici e la teologia,
Assistente Centrale del Movi-
mento dei Fooolarì, il Foresi uni-
sce nella sua produzione, alla
competenza dottrinale, una so-
Iida esperienza apostolica che
gli consente di portare —— come
appare in quest’opera — un con-
tributo originale nel concerto di
opinioni e proposte intese a col-
Iocare il Iaìcato nella sua giusta
luce e al suo responsabile ruolo
nel popolo di Dio.















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