petek, 2. december 2005

14 QUELLO CHE PERDE I PEZZI (Giorgio Gaber)


Il polpaccio nella mia vita non è determinante. Ne posso benissimo fare a meno. Quando m’è caduto non me ne sono neanche accorto.
Perdo i pezzi ma non è per colpa mia
se una cosa non la usi non funziona
ma che vuoto se un ginocchio ti va via
che tristezza se un’ascella ti abbandona.
Che rimpianto per quel femore stupendo
ero lì che lo cercavo mogio mogio
poi dal treno ho perso un braccio salutando
mi dispiace che c’avevo l’orologio.
Che distratto, perdo sempre tutto!
Passeggiavo senza stinchi col mio amore
ho intravisto nei suoi occhi un po’ d’angoscia
io l’amavo tanto e c’ho lasciato il cuore
c’ho lasciato già che c’ero anche una coscia.
A una festa con gli amici ho perso un dito
"Ve l’ho detto di non stringermi la mano!".
Son rimasto un po’ confuso e amareggiato
quando ho visto le mie chiappe sul divano.
Che routine. Così uno si smonta. Guarda quello lì, c’ha ancora una tibia. Che invidia.
C’è qualcuno che comincia a lamentarsi
"Che disordine in città", io lo capisco
tutto pieno di malleoli e metatarsi
a momenti scivolavo su un menisco.
Oramai io camminavo con il petto
c’era uno senza pancia, un po’ robusto
era fermo e mi guardava con sospetto
solidale c’ho lasciato mezzo busto.
C’era lì anche un mendicante, senza gambe e senza braccia. Non lo cagava nessuno!
Con quel poco che c’ho ancora me la cavo
non mi muovo ma ragiono molto bene
ora c’ho praticamente un gran testone
e un testicolo per la riproduzione.
Va be’, vorrà dire che non farò sport.
Però mi vengono bene le parole crociate.






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